Portolano per rotte inedite verso lidi inesplorati – Fondato e diretto da Luigi Sanlorenzo

PoliticaStoria

Waterloo 1815: la battaglia che cambiò l’Europa

La grande pianura che circonda la cittadina belga di Waterloo si estende a perdita d’occhio sino all’orizzonte. Al centro, visibile da molti chilometri di distanza e al culmine di una collina artificiale svetta la statua di un leone con una zampa appoggiata sul globo.

Il 1815 è una delle date che, tra le centinaia apprese a scuola, rimane nella nostra memoria e il nome della località, fino ad allora sconosciuta ai più è entrata nel lessico comune come sinonimo di sconfitta.  A poco serve ricordare che nello stesso anno si svolse il Trattato di Vienna e che, da quella data si chiuse l’età moderna e iniziò la cosiddetta età “contemporanea”, conclusasi convenzionalmente con la caduta del muro di Berlino.

Oggi sappiamo che quella sconfitta non fu sufficiente ad arrestare il cambiamento che la Rivoluzione Francese aveva rappresentato nel mondo occidentale.

Ciò che probabilmente colpisce la memoria dei più fu la portata epocale di una battaglia – descritta da Victor Hugo in uno dei più indimenticabili capitoli de “I Miserabili” – in cui si scontrarono due concezione della stato, della società, del potere.

La descrizione che  Hugo fa della battaglia è straordinaria, tanto che per molto tempo è stata usata come manuale di guerra, per le lezioni di strategia che venivano impartite nelle scuole militari dell’epoca.

La sua descrizione pare fatta con gli occhi di Dio: “Era possibile che Napoleone vincesse quella battaglia? Rispondiamo di no. Perché? A causa di Wellington? A causa di Blücher? No. A causa di Dio. Bonaparte, vincitore a Waterloo, non rientrava più nella legge del diciannovesimo secolo. Si preparava un’altra serie di fatti dove per Napoleone non c’era più posto. La cattiva volontà degli avvenimenti si era già annunciata da lunga data. Era tempo che quell’uomo cadesse […]. Napoleone era stato denunciato nell’infinito e la sua caduta era decisa. Dava fastidio a Dio. Waterloo non è una battaglia; è il mutamento di fronte dell’universo”.

Da una parte l’imperialismo “borghese”, vagamente universalistico ma certamente intriso dello spirito rivoluzionario che attraverso le armate napoleoniche aveva contagiato il mondo occidentale e non solo e, dall’altra, l’assolutismo delle monarchie dinastiche consolidatosi in oltre cinque secoli di lotta per la supremazia europea.

Eppure,  dall’assetto geo politico creato da quella vittoria e che sarebbe dovuto durare per secoli, trassero origine i Risorgimenti e, nel volgere di un secolo,  il crollo di quelle stesse monarchie  che avrebbero trovato nell’apocalittico epilogo della prima guerra mondiale il proprio sepolcro.

Napoleone sconfitto ebbe la così la propria rivincita e i valori della Rivoluzione francese diventarono patrimonio di noi tutti, premessa per tutte le costituzioni nazionali e potente antidoto per sconfiggere i fascismi del XX secolo.

Trascorsi oltre duecento anni, l’Europa sembra riproporre uno scenario simile , le stesse ansie, le medesime paure. I Paesi che confidano nella natura culturale e sociale dell’Unione, richiamandosi ai padri fondatori e allo spirito dei primi trattati si dovranno continuare a confrontare con quanti la percepiscono come una megastruttura economica in grado di competere con le altre economie mondiali, anche a costo di pagare altissimi prezzi sul piano della dignità della vita di milioni di persone e della desertificazione delle aree storicamente più deboli dei paesi mediterranei.

Uno scontro fortissimo, pur nascosto dalla formale cortesia ostentata negli incontri ufficiali,  ha riproposto antiche differenze culturali e persino opposte declinazioni della cristianità. Non a caso coincide con la debolezza dei Paesi tradizionalmente cattolici e con l’intransigenza di quelli più calvinisti. Una differenza che nell’era della laicità sembrerebbe anacronistica e che, invece, muove sentimenti, scelte, modalità di relazione, criteri di giudizio.

All’interno e a motivo di questo conflitto trovano ampio spazio e consenso aggregazioni politiche destabilizzanti che invocano scelte antistoriche, esaltano gli egoismi localistici, utilizzano la pur reale minaccia del fondamentalismo islamico come strumento di propaganda per pretendere che la storia della civiltà europea compia passi che la porterebbero indietro di secoli e che, mentre la modernità scorre altrove, la rinchiuderebbe in una sorta di Fortezza Europa, sino all’inevitabile estinzione, come sempre è accaduto a popoli ed individui che si sono nutriti del proprio passato piuttosto che alimentare il proprio futuro.

L’unica possibilità per impedire che cali sul “primo mondo” l’oscurità della barbarie figlia della paura, è rintracciabile nella responsabilità dei maggiori Paesi europei di comprendere che non può esserci alcuno sviluppo economico separato dalla fiducia nel futuro e dalla speranza in una possibile, umana, “felicità”.

Mentre in queste ore a Parigi tra Macron e Meloni  si confrontano due diverse idee di Europa, la lezione di Waterloo sembra insegnarci che quando un mondo è al tramonto non basta vincere una seppur decisiva battaglia per tenere lontano il cambiamento che, comunque, si fa strada nella mente e nel cuore degli individui e dei popoli, sino al proprio inevitabile compimento che, come accadde allora, solo pochi anni dopo fecero apparire arroganti  le sprezzanti parole che il Principe di Metternich aveva destinato all’Italia.

Solo la lezione della Storia potrà impedire che nel turbinio degli anni che ci aspettano qualcuno possa un giorno riferirsi anche all’Europa come “una mera espressione geografica”.

Non possiamo permetterlo per rispetto ai nostri padri. Non lo permetteremo per dovere verso i nostri figli e nipoti.