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Vagabondaggi

Il valore della Memoria. Quarant’anni fa a Dachau

«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere».

Così recitano i due articoli della legge n. 211 del 20 luglio 2000 con cui la Repubblica italiana istituiva il Giorno della Memoria Un pronunciamento che anticipava di cinque anni la Risoluzione delle Nazioni Unite, assunta nella sessione speciale dell’ Assemblea Generale del 24 gennaio del 2005. L’Italia era retta da un governo di centro sinistra presieduto per la seconda volta da Giuliano Amato, socialista, dottor sottile e consigliere di Bettino Craxi, poi indipendente vicino ai Democratici di Sinistra, oggi vice presidente della Corte Costituzionale, domani chissà. Al Quirinale si era insediato da poco più di un anno Carlo Azeglio Ciampi, riserva della Repubblica fervente europeista, economista ed ex Governatore della Banca d’Italia: tra i più amati statisti che il Paese abbia mai avuto.

Si, perché c’è stato un tempo in cui l’Italia ha avuto statisti e giganti della politica, uomini di studi severi, dal curriculum inarrivabile e dall’ampia visione del futuro, stimati anche da parte egli avversari politici e apprezzati sulla scena internazionale. Sembra trascorso un millennio da allora e forse occorrerebbe parlarne ai giovani di oggi che, inevitabilmente, si tengono lontani dalla politica dei mediocri, degli ipocriti e degli impresentabili. 

L’istituzione del Giorno della memoria non fu esente da polemiche politiche che portarono poi a un riequilibrio nel 2004 con l’ istituzione parallela della Giornata del Ricordo pretesa, non senza ragione, dalla Destra e da alcuni settori del centro moderato, in onore delle vittime dei massacri delle foibe a opera dei comunisti titini, fino ad allora dimenticate, almeno ufficialmente. Unicuique suum, come proclama d’altronde uno dei due motti che affiancano il titolo dell’Osservatore Romano, l’altro è una speranza che continuiamo a coltivare: Non praevalebunt.

Con l’istituzione del Giorno della Memoria e fino allo scorso anno, migliaia di studenti accompagnati dai docenti hanno incontrato i coetanei europei nei campi di concentramento di Mauthausen in Austria, di Auschwitz-Birkenau e di Treblinka in Polonia, di Bergen-Belsen, di Flossemburg e di Dachau in Germania, di Theresienstadt nella Repubblica Ceca, della Risiera di San Sabba e di Fossoli in Italia e in tanti altri campi, minori per dimensione ma non per ferocia, sparsi in ogni parte del continente occupata dai nazisti.

Ad aprire loro i cancelli i superstiti dei deportati, tra le mani i capolavori di Primo Levi, il Diario di Anna Frank, le più recenti testimonianze di Liliana Segre, i racconti di Walter Veltroni, fino alla graphic novel Maus di Art Spiegelmann.

Quest’anno avrebbero avuto anche il libro di Emanuele Fiano pubblicato una settimana fa da Piemme, con la prefazione di Liliana Segre “Il profumo di mio padre”: Nedo, l’ unico superstite di un intero nucleo familiare perito ad Auschwitz. Esponente di spicco della Comunità ebraica italiana Emanuele Fiano è deputato del Partito Democratico e strenuo sostenitore del mantenimento del reato di apologia del fascismo pericolosamente in bilico tra le disposizioni transitorie della Costituzione repubblicana – la XII – e di cui legge Scelba del 1952 è stata finora l’applicazione non sempre rigorosa. Sarebbe la prima a saltare in un futuro che non vogliamo nemmeno immaginare.

Nella mente di quei ragazzi le sequenze indimenticabili di decine di film da Il Pianista del 1992 a Schindler’s List del 1993, da La vita è bella del 1997 a Storie di una ladra di libri del 2013 a La Signora dello zoo di Varsavia del 2017. Un “Erasmus” della memoria che ha segnato una generazione di giovani europei e reso meno amaro il disagio di vivere dei sopravvissuti, con le carni marchiate per sempre dal tatuaggio del numero di matricola assegnato loro all’ingresso nei campi. 

Decine di migliaia di studenti europei sono però una cifra che accende dubbi lancinanti: quanti tra di essi, oggi adulti, militano tra le fila dei movimenti negazionisti, sovranisti se non addirittura neo nazisti che costellano come funghi avvelenati il continente europeo? Quanti tra di essi inneggiano oggi a Vladimir Putin, a Recep Tayyp Erdogan, al duo Salvini-Meloni, a Victor Orban? 

Perché la civilissima Francia che sconta ancora la deportazione di 4.115 bambini israeliti di Parigi avvenuta il 16 luglio del 1942 con la complicità della polizia di Vichy, è considerato il paese occidentale a maggior rischio per gli ebrei sulla base degli attentati che vi si sono verificati? 

Perché dal sondaggio condotto dall’Istituto JPR (Jewish Policy Research) risulta che la maggior parte degli ebrei residenti in Italia si sente minacciata a motivo della propria identità etnica e religiosa? Un allarme lanciato già dal 2015 dal quotidiano Haaretz e ripreso dal settimanale Vita con un articolo di Luca Cereda del luglio scorso.

In Italia la senatrice a vita Liliana Segre ha avuto assegnata una scorta e perfino l’attuale governo regionale dell’ospitale e tollerante Sicilia che tanto deve al contributo della cultura ebraica per la composizione del proprio straordinario mosaico di civiltà, ha dato origine a spiacevoli episodi nei confronti della valorizzazione di quel patrimonio culturale oggi affidato, insieme a troppo altro, ad un assessore in quota Lega, di antiche simpatie nibelungiche e naziste. Ne ho scritto su queste pagine citando anche le vibrate proteste al riguardo da parte dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane. Vista l’età di Albero Samonà, nato nel 1972, sarebbe curioso sapere se abbia mai visitato i lager, magari non da studente, ma almeno da giornalista quale è stato e, immagino, continui ad essere.

Insomma, alla vigilia della ricorrenza che quest’anno, a motivo della pandemia, vedrà probabilmente chiusi i cancelli dei campi di sterminio e sensibilmente diminuito il numero degli anziani sopravvissuti, le commemorazioni che certo saranno diffuse e numerose, soprattutto sul web, saranno anche occasioni di contestazione e di revisionismo? 

Intanto, si registra il contestato pentimento dell’ultimo rampollo di casa Savoia, Emanuele Filiberto, che – a differenza del padre Vittorio Emanuele e del nonno Umberto che pure avendone avuto tutto il tempo, mai hanno fatto ammenda della firma apposta da Vittorio Emanuele III sulle Leggi Razziali del 1938 – in una lettera aperta diffusa dall’agenzia ANSA il 21 gennaio ha dichiarato «Scrivo a voi, Fratelli Ebrei, nell’anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, data simbolo scelta nel 2000 dal Parlamento della Repubblica Italiana, a memoria perpetua di una tragedia che ha visto perire per mano della follia nazi-fascista 6 milioni di ebrei europei, di cui 7500 nostri fratelli italiani».

La reazione dell’UCEI non si è fatta attendere definendo la dichiarazione di colui che se fosse andata diversamente esibirebbe in Italia il titolo di principe di Napoli, «un’iniziativa tardiva che non cancella la storia» come pubblicato da La Stampa il 25 gennaio. Le porte del Pantheon restano chiuse.

Vedremo cosa accadrà il 27 gennaio quando verificheremo quanto e se sia in attivo il bilancio del superamento del millenario antisemitismo italiano ed europeo. Chi scrive qualche dubbio in proposito lo nutre, avendolo tratto dai commenti contrapposti circa l’estesa efficacia della profilassi anticovid in Israele e le immancabili polemiche sulla presunta discriminazione dei palestinesi circa la somministrazione del vaccino, riportate da Il Fatto quotidiano «Non c’è pace tra gli ulivi» alla faccia di chi continua a ritenere che dalla pandemia «usciremo migliori».

Ottobre 1981. Una Renault-4 spartana di colore blu oceano ma impolverata dalle strade di mezza Europa, percorre le strade della Germania Ovest. Il Muro c’è da venti anni e nessuno può immaginarne il crollo che lo avrebbe interessato otto anni dopo. Una potente autoradio Autovox (estraibile) sicuramente sovradimensionata rispetto alla vettura che la ospita, alterna il brano del 1970 “Bridge over troubled water” di Paul Simon e Art Garfunkel – che poche settimane prima avevano tenuto il loro più famoso concerto al Central Park con oltre cinquecentomila spettatori – al racconto del mondo: il tre di luglio era stata diffusa la notizia di un raro cancro dalle caratteristiche sconosciute che sembrava colpisse soltanto le persone omosessuali, era iniziata l’era dell’ AIDS; Il 29 luglio con una cerimonia da favola nella Cattedrale di St. Paul era stato celebrato il matrimonio del secolo tra Charles Philip Arthur George Mountbatten-Windsor, principe di Galles e Diana Spencer.

Il primo settembre IBM aveva presentato il primo personal computer; il 6 ottobre il presidente egiziano Anwar Al-Sadat, ritenuto reo di aver siglato gli accordi di Camp David con Menachem Begin sotto l’egida di Jimmy Carter e che avevano fruttato ad entrambi il Premio Nobel per la Pace nel 1978, era stato ucciso durante un attentato di matrice fondamentalista dopo il quale sarebbe andato al potere Hosni Mubarak, il faraone che avrebbe regnato per ventisei anni. 

In Italia il mostro di Firenze aveva straziato il 6 giugno la terza duplice coppia e il 22 la quarta, mentre la Polizia brancolava nel buio di uno tra i tanti misteri della profonda provincia italiana, destinato a rimanere tale. A Palazzo Chigi, Giovanni Spadolini da meno di tre mesi al suo primo governo pentapartito con 262 deputati democristiani su 375 e 138 senatori del medesimo partito su 315. PCI e Movimento sociale all’opposizione. Sarebbe durato 421 giorni. Presidente della Repubblica, il socialista ed ex partigiano Sandro Pertini che aveva fustigato i corpi dello Stato per le responsabilità nel terremoto dell’Irpinia l’anno precedente e commosso in giugno l’Italia sporgendosi sul bordo del pozzo di Vermicino nella cui profondità si spegneva lentamente Alfredino Rampi.

L’eco di quegli eventi raggiungeva i due passeggeri della R-4, poco più che ventenni, in vagabondaggio nuziale da due mesi nell’Europa occidentale e ora sulle strade della Baviera in direzione del castello di Herrenchiemsee, forse il più eccentrico tra quelli voluti da Ludwig II. All’uscita da Monaco, un cartello indicava la direzione verso la cittadina di Dachau, tra le tante dell’area meridionale del Land, una ventina di chilometri. Nessun riferimento ad altro, ma il nome suscitò subito ricordi di studi ancora freschi poi diventati professione e ragione di vita. Eravamo ancora sotto l’emozione della visita, giorni prima, alla casa di Anna Frank ad Amsterdam; ci guardammo senza parlare e seguendo la fidata mappa stradale della Michelin, raggiungemmo presto il centro città e subito dopo il sito del campo di concentramento entrato in funzione già nel 1933 per gli oppositori politici e poi per gli ebrei; fu usato a pieno ritmo fino al 29 aprile del 1945 quando, a differenza di altri campi lasciati ai pochi stremati superstiti, le ultime SS provarono a resistere ai soldati americani. Fu il primo lager su cui campeggiò per la prima volta la tremenda frase Arbeit macht frei tratta dal titolo del romanzo morale di Lorenz Diefenbach del 1874 che narra di come il lavoro possa riscattare i peggiori criminali. La frase, somma di tutte le menzogne del nazismo, fu poi utilizzata come beffardo e tragico benvenuto in tutti gli altri campi.

In quegli anni le visite al campo di Dachau erano rare, per lo più ex reclusi con le famiglie. Nessun turista niente ricostruzioni grafiche o proiezioni di filmati d’epoca. Solo un grande spazio spianato dove erano state mantenute poche strutture: un paio di dormitori, la caserma delle SS e i forni crematori a celle singole, con chiavistello. Delle baracche restava sul terreno il segno del perimetro. 

Intorno, un grande silenzio; su tutto, un cielo caliginoso e – così assicurò il guardiano – perennemente grigio anche nelle giornate estive che in Germania regalano spesso cieli limpidi e intensamente azzurri. Come se perfino il sole avesse vergogna di mostrarsi in quel luogo di morte. Restammo alcune ore e non riuscimmo a scambiarci alcuna parola. Nella sala dei forni lei pianse ed io riuscii a nascondere l’emozione nella folta barba ma non il tremore delle mani che in più occasioni rese mosse le diapositive che ancora oggi, di tanto in tanto, rivedo. Saremmo tornati in Germania e in Austria quasi ogni anno ma in qualunque regione ci trovassimo per vacanze o per lavoro, il ricordo di Dachau non ci ha mai abbandonato.

Nei mesi successivi quando raccontavamo di quella visita non programmata, qualche amico particolarmente spiritoso ci prese in giro per averla inserita in una luna di miele, ma quando anni dopo mostrammo ai nostri figli adolescenti e che pure ne avevano viste di simili in televisione, le immagini la cui resa precaria mostrava i segni delle emozioni provate, comprendemmo cosa volesse dire tramandare direttamente e in prima persona alle nuove generazioni tutto, anche la memoria dell’orrore di cui erano state toccate con le mani le rovine.

L’ultima tappa, prima della tratta autostradale fino a Palermo, a quell’età ancora sostenibile in un’unica maratona automobilistica, fu Assisi. Pregammo per i tanti eventi che ci avrebbero atteso in quelli che sono ormai quarant’anni di matrimonio, ma non dimenticammo di ricordare al Santo della pace e della perfetta letizia quei bambini che gli erano volati incontro a migliaia, confusi e impauriti, ancora avvolti dal fumo dei camini.