Portolano per rotte inedite verso lidi inesplorati – Fondato e diretto da Luigi Sanlorenzo

LetteraturaSocietà

Desiata e le figlie dei venti, di Marcella Burderi

«Vi sono suicidi invisibili. Si rimane in vita

per pura diplomazia, si beve, si mangia,

si cammina. Gli altri ci cascano sempre,

ma noi sappiamo, con un riso interno,

che si sbagliano, che siamo morti».

– Gesualdo Bufalino -Il malpensante

 

Ho letto Desiata. Ho letto il primo romanzo di Antonella Marascia. Un romanzo multiplo, corale. Di conseguenza è multipla la maniera in cui lo si può leggere. Lo si potrebbe leggere dal punto di vista dei sociologi e valutare la maturità delle conquiste sociali fin qui fatte: la legge sull’aborto, la legge sul divorzio, la legge sul delitto d’onore…abolito in Italia nel 1981, nel 1981 con la legge 442, è il caso di ribadirlo. Ci accorgeremmo di quanto la società e le regole che la orientano percorrano due strade diverse a velocità diverse, per arrivare nello stesso punto l’uno in ritardo e l’altra che guarda già avanti.                                                                                       

Con i giuristi potremmo chiederci allora la qualità della strada fatta. Quanta ancora ne resta da fare nella direzione dell’emancipazione femminile dalla mentalità comune radicata e spesso condivisa, prima di tutto, e poi delle conseguenze di una mentalità, retrograda e ancorata al passato, sulle nuove generazioni. Ci si potrebbe chiedere con coloro che pensano alla società come un gruppo regolato dalle leggi come è possibile che il diritto vada ad una velocità e la vita segua un’altra velocità senza che l’uno incontri l’altra se non a fatto  compiuto ?                                                           

Di questo romanzo dice bene Luigi Sanlorenzo: “Un romanzo corale, una tragedia senza tempo con un coro potente su cui spirano i venti favorevoli e contrari delle passioni umane”. Una storia unica che dà voce a mille storie, storie che i cantastorie raccontavano negli angoli della nostra terra a imperitura memoria.   

Il racconto di Antonella Marascia, incubazione di decenni, è in fondo è un tentativo di tirar fuori ciò che la vita le ha intarsiato nell’anima. Non il primo intarsio. Il precedente lavoro letterario di Antonella sulle favole altro non è se non il frutto del ricamo,fatto su di lei da bambina,dalle grandi mani della Nonna e della Madre.

Un tatuaggio nero su carne che Antonella restituisce con ritrovata e rinnovata purezza.   

Un romanzo storico, vorrei dire, più che Verista. La storia raccontata non è storia dei vinti, come vedremo la svolta ci sarà e sarà per sempre. Ma romanzo storico lo è: Antonella Marascia ricostruisce ambienti, mentalità, usi, credenze e costumi della gente della sua città scrivendo una storia nella Storia ben sapendo che quella società ne ha fatta di strada, e che in quel modo non esiste più.                                                                                                               

Io provo a leggerlo dal mio punto di vista. Ed ecco che ho finito di leggere e inizio a rileggere, perché questa storia è tante storie. L’espediente del racconto è semplice: ciascun personaggio narra il proprio racconto di quanto accaduto restituendo la propria percezione dei fatti.

Marascia però lascia che la narrazione spiri dai venti e sia restituita dal carattere del vento che le dà voce.                 

Il fatto è uno: in una Mazara del Vallo di primo Novecento una donna di nome Desiderata viene uccisa dal marito.Attorno a questo fatto inizia il ricamo della narrazione. Ma ad uccidere, al di là di quanto accaduto,non sono gli uomini, Desiata è una storia in cui a dispetto di quanto accade ad uccidere sono le donne.                           

Io sono Rosa: cominciamo bene!

Rosa si impegnerà per tutto il corso del romanzo a dimostrare che lei è non un’idea, meno che mai un’ideale, né un topos, ma una precisa identità fatta di sentimenti contrastanti e capace di parole, gesti, azioni che determinano scelte.

Con Rosa iniziano le uccisioni.Rosa la madre dei venti, la madre delle madri, uccide la madre che nasconde, la madre che perdona tutto, la madre miope, la madre struzzo. Rosa è madre che conosce i Figli profondamente uno per uno, è madre che uccide la madre per antonomasia ed esce dallo stereotipo per affermarsi come Rosa, madre dei figli deboli che si infuriano, che accarezzano, che spingono e che annoiano, che si appiccicano e che portano rogne, che, in fondo sono portatori di vita: sia buona che cattiva. 

Commare Nina. La madre di Desiata uccide le prefiche dell’isola. Uccide le urlatrici di dolore a pagamento e con lei si fa spazio una donna concreta, pragmatica che mai dimenticherà. Nina uccide la donna che perdona e recupera, la donna che cova rancore e ribrezzo per tutta la vita.

Nina uccide il topos del “porgi l’altra guancia” per gridare un dolore senza fiato…quel fiato rubato il cui valore bisogna leggere il libro per riconoscerlo. Ma Nina ha più di un coltello ed uccide la moglie senza un suo pensiero, senza opinione, uccide la moglie che sta un passo indietro per fare spazio alla moglie a fianco, che sostiene. Nina uccide il marito padrone una volta per tutte e dopo di lei, con lei, emerge la moglie compagna.

E infine Nina uccide la madre bambina, quella a cui nascondere la verità, quella incapace perché sempre “coperta” dalla protezione di sorelle, madri, madrina, cognate. Nina uccide la madre dei figli maschi per forza e dà vita alla madre delle figlie femmine per scelta, figlie sfortunate in quella Sicilia di stereotipi di primo Novecento, sfortunate sì ma non per questo meno figlie.           

Giovanna, la madre di Vanni, uccide la fiamma che arde in sè e in fondo compie un suicidio. Non saprà farcela a far emergere la madre delle madri e sprofonda sotto il carico delle tradizioni, sotto il peso del pare brutto e non si sottrae al rito del “non ti appartieni”. Giovanna ferisce le donne che si ribellano, che alzano la testa ma a morire, poi, è lei e decreta la condanna a morte anche del figlio.                                                                                         

Desiata. Lei è rea di più di un atto annientatore. Inizia e si presenta da subito capace di uccidere la figlia accondiscendente tout-court e recupera la sua esplosione di vitalità. Non era raro, ma Desiata uccide il topos del divario e dimostra che si può essere figlia devota, affezionata e amorevole pur affermando la propria identità volitiva capace di gridare la fermezza dei suoi sentimenti e questa sua precisa caratteristica sarà alla base delle sue future uccisioni.

Infatti poco dopo Desiata uccide la moglie accondiscendente, accudente e si conferma donnaDonna, con la sua gelosia, femminilità, individualità, e volontà. Desiata uccide la divinità tutelare della casa e libera se stessa dal ruolo che la comunità le ha riservato:“faticava a diventare moglie” perché non seppe rinunciare a se stessa, dice la scrittrice.Non è un uccisione senza conseguenze, si badi bene. Ella paga la sua scelta di libertà più volte.

Ma questo prezzo è ciò che la incastona tra le eroine dei racconti. Desiata uccide Desiata in un atto  che rivendica la libertà per le donne del futuro. Desiata uccide le donne che credono di non avere le ali, che credono che a loro non sia concesso di sperimentare l’ebrezza della speranza. Desiata è donna Maga, non sa ancora come volare eppure il desiderio è così pregnante, così puntuale, così impellente che non può e non vuole rinunciare.

Desiata sa volare, è solo che deve provare. E lei prova. E nel provare Desiata diventa la vera dragonara. Non resta altro da fare al povero Vanni che seguire il destino: “Pigghiala stoccala ntalumienzu e l’abbìntana cava scura…” l’ha presa e l’ha spezzata.

Ma a morire è Vanni, condannato a morire a vita. E ad ucciderlo è stata Desiata. Lei era stata ridotta in fin di vita, rimasta in vita per pura diplomazia, ridotta a sopravvivere in quel limbo in cui “si beve, si mangia, si cammina. Lo sappiamo tutti che è così Gli altri ci cascano sempre, ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano, che siamo morti”.  Desiata in fondo è premorta, quando ha iniziato a subire, a perdonare, a passare sopra a tutti i soprusi e i tradimenti, quelli del corpo e quelli dell’anima.

Ma poi è rinata nel momento in cui le hanno tolto la vita fatta di tempo caduco, apparentemente morta, è rinata. Quel gesto che le ha tolto la vita fatta di anni, di mesi, di stagioni,  altro non è se non la restituzione, per sempre, al mondo di una storia che per fortuna abbiamo superato, superato sì, dimenticato mai.

Con Desiata, Nina, Rosa tutte ledonne del racconto sono capaci di uccidere tutti gli uomini del racconto. Come in un incantesimo sono tutte mamme draghe e sanno amare profondamente ma sanno anche odiare, proteggere e distruggere. Gli uomini del racconto no. Sanno solo confermare e perpetuare. Turi, Vanni, Filippo, Antonio fuori dalle righe delle loro esistenze diventano o restano, per meglio dire, personaggi fedeli al ruolo ad essi assegnato dal destino di nascere uomo.

Non hanno bisogno di evolversi, nè di dimostrare di saper volare, ma anche volendo non lo saprebbero fare perché il ruolo ad essi assegnato non prevede il cambiamento. Ed ecco perché le donne di questa storia li uccidono tutti, li annientano uno per uno, perché sapranno evolvere, sapranno agire e reagire con la loro capacità di intuire, Nina su tutte. A Nina, come alle altre, non devi spiegare nulla, non devi comunicare nulla. Sanno già. Con la loro capacità di sostenersi per sottrarsi al branco bestiale che le accerchia e toglie loro il fiato e la vista, sopravvivono tutte, anche Brigida, anche Marannina, tutte le figlie dei venti.